Raccontare La Storia Delle Donne
Un percorso d’amore e d’arte di Selene Bozzato
Di Emanuela Mazzotti Biondani
Raccontare la storia delle donne attraverso l’arte declinata in tutte le sue espressioni: dal teatro alla poesia arrivando alla pittura, un percorso che si snoda attraverso lo sguardo interiore di una donna che conosce la sofferenza muta e buia della solitudine che finalmente trova espressione nel gesto del tracciare il segno, modellare il colore.
Selene Bozzato ama coniugare la pittura con il teatro e la scrittura; autrice di un libro sul disagio psicologico, La luna nel bosco, da cui ha tratto uno spettacolo teatrale è co-fondatrice dell’associazione Punto e virgola – Lo scrigno. Un bilancio del suo lavoro dopo un impegno che dura ormai da quasi vent’anni, è l’occasione di questa mostra nelle belle sale affrescate di villa Pisani, dal titolo “Il segno opposto”, promossa dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Monselice.
Ventisette lavori a carboncino, olii su tela e tecniche miste che hanno come protagonista la donna. Donne nell’arte e Arte delle donne, ovvero le figure femminili che sono protagoniste silenziose e spesso troppo appartate dell’arte tutta al maschile, come “cosa da uomini”. Ripercorrere le biografie e la storia artistica di alcune di loro è un omaggio a grandi personaggi femminili e al contempo una raffinata lettura interpretativa della loro storia personale e della sorte che hanno condiviso. Un’istantanea empatia si stabilisce tra noi e loro, che parliamo lo stesso linguaggio di segni muti quanto inequivocabili, sperdute come siamo tutte nei meandri di un vivere separato e frammentario, immutabile nella stessa solitudine.
A guardarle così, uno dietro l’altra queste opere parlano di malinconia, di ferite dell’anima ma anche di rinascita e soprattutto riscatto. Colpisce tra i dipinti uno in particolare fra tutti: Rusalka, dedicato a Jeanne Hebouterne la compagna del grande Modì, morta suicida giovanissima. La ragazza fluttua nell’acqua come fosse una dea, il corpo flessuoso e gli occhi chiusi, abbandonata. Rusalka è un’onda, un mito antico che incanta e affascina ma come in “Ondine” di Klimt dice dell’impossibilità di appartenere ad un uomo. Pura natura di acqua e di luce Rusalka appartiene al lago e alla notte e qui resterà per sempre. Vengono in mente le parole di Ada Merini, grande poetessa contemporanea, che di tutti i mali teme più di ogni altro la solitudine così come le stesse parole di Selene la definiscono: “un acido che corrode, niente più da dire, niente più da raccontare”.
Lo sfondo costruito con intense pennellate gialle e nere: “Tarlo” è un vortice di colore in primo piano e l’improvviso apparire di un volto, gli occhi cancellati a forza di graffi, senza identità. Nessuno conosce l’intima paura di questa donna, la sua paura di guardare e di essere guardata. Le è stato tolto tutto. E’ una metafora dell’abbandono forzato, della perdita di sé e dell’ispirazione artistica. Racconta dell’impossibilità di dare voce all’arte se l’artista è svuotato, impoverito. Dora Maar, a cui questo dipinto è dedicato, è un esempio di questo “patire” l’arte, quando il desiderio è spento e la forza creatrice muta.
La forza creatrice viene spesso scambiata per follia e molti, soprattutto donne, sono stati oggetto di terribili segregazioni senza comprenderne la straordinaria innovazione artistica e la dedizione al lavoro creativo.
Il corpo è spesso il luogo dell’arte, verità questa che è stata apprezzata solo in tempi relativamente recenti con la Body art o le performance di artiste note come Marina Abramovic. Il corpo e le sue tentazioni e frustrazioni: “Hell is overburnered” oppure “ Who will remember your name?” mostrano la fiamma che brucia dentro la mente , che illumina e consuma. Sullo sfondo rosso scuro, segnato da pennellate nere che ritagliano il nudo, la figura femminile è colta in un gesto di disperazione. Selene immortala una donna forte e fragile allo stesso tempo, consapevole del suo destino tragico tradotto in un segno che “taglia” lo spazio come una coltellata e lo blocca in un fermo immagine. E ’facile intravedere in questa pittura quasi scultorea una sensibilità umana e femminile che rimanda alla vicende della scultrice Camille Claudel , allieva amata dal grande Rodin, considerata al pari del maestro come “genio di Francia” e poi rinchiusa brutalmente dalla famiglia in manicomio per una questione di malintesa “convenienza sociale”.
La dimostrazione che l’arte può essere un mezzo di salvezza e riscatto dal proprio dolore e strumento per cambiare il profilo della storia, trova ragione in opere dove la protagonista femminile, ritratta di profilo o di tre quarti, occupa lo spazio come fosse sospesa, si libra nell’aria con il profilo rivolto verso l’alto o in piena luce. Questi soggetti dicono di un nuovo equilibrio raggiunto dall’artista, sia sul piano formale che dei contenuti, aprendo la porta ad una consapevolezza di sé e dell’arte come portavoce di realtà misconosciute e alienanti che invadono l’universo femminile. Queste opere rappresentano un passo avanti nel riconoscimento di un’ipotesi di felicità possibile: I “cieli di Selene”, “Nella luce” diventano quindi il punto d’arrivo di uno stile personale e riconoscibile.
Non è certo un caso se fra le artiste apprezzate da Selene rientri l’effervescente Niki de Saint Phalle che ha saputo trasformare la sua debolezza in forza, sublimando il dolore della sua terribile infanzia in energia creativa controcorrente. Facendo dell’arte una sorta di grimaldello, l’artista francese scuote l’arte internazionale degli anni ‘60 dal “vecchiume” e dalle regole accademiche, votandosi ad una libera espressione di sé con strumenti e mezzi inusuali per l’arte del tempo. “Lilith” è il simbolo di una donna visionaria e libera dagli schemi convenzionali, lontana dai ruoli che tradizionalmente le vengono imposti. I lunghi capelli rosso fuoco incorniciano il volto della figura che si mostra stante come una statua a dominare lo spazio. Lo sguardo è sicuro, nessuna incertezza o ripensamento, un cerchio rosso racchiude al suo interno il serpente tentatore: un magico cerchio è forma perfetta e allo stesso tempo luogo d’azione della “strega” che unisce il mistico e il carnale.
Il segno negativo cementato in regole ancestrali di Lilith come essere demoniaco assume al contrario una valenza positiva come un esplosivo segno di riscossa e libertà di esistere. La libertà artistica finalmente conquistata da Selene.